C’è stato un tempo in cui una fra le donne K c’era chi trascorreva la tre giorni di Sant’Agata (che per qualche ragione, poiché coincidono con i giorni della merla, sono anche gli unici giorni freddi-ma-proprio-freddi che viviamo in Sicilia) assicutannu ‘a vara con il busto reliquiario di Sant’Agata sopra. Quindi, non potevamo esimerci dal raccontare la storia della Santa Patrona di Catania e le curiosità che, aggirandoci fra devoti e cittadini che ogni anno scendono in strada per abbracciare Agata, abbiamo scoperto.
Questa donna K che trascorreva le notti al freddo e al gelo, aspettando i momenti topici della festa, per raccontarli durante la diretta televisiva, ha scoperto la generosità e la gentilezza di chi – vedendo una ragazza con il naso rosso e smoccolante per le basse temperature – le ha portato un bicchiere di latte caldo proprio ai piedi dell’a cchianata i Sangiuliano oppure le ha proposto di entrare in casa a scaldarsi, in attesa che all’orizzonte si vedesse il fercolo.
Ma veniamo alle celebrazioni agatine: la tre giorni più attesa dell’anno, il momento religioso più importante della città. Dal 3 al 5 febbraio (e poi di nuovo il 17 agosto, per la festa che celebra il rientro delle reliquie da Costantinopoli nel 1126) le strade si riempiono di devoti e turisti, mentre il busto reliquiario di Agata percorre le vie della città che profumano di torrone e caramelle, fra applausi scroscianti, colori e cori tradizionali che accompagnano la Santa lungo i Giri esterno e interno. Catania, durante questa tre giorni, attira oltre un milione di persone (devoti e turisti da ogni parte del mondo), questo anche grazie al titolo di Bene etno-antropologico patrimonio dell’Umanità che la Festa di Sant’Agata ha conquistato.
Stabilire con certezza le origini della festa vera e propria è piuttosto complicato. Non è improbabile, infatti, che il culto religioso di Agata si sia “sovrapposto” a una (o addirittura più) feste e culti pagani preesistenti, come viene attestato da numerose testimonianze e come era frequente che avvenisse per inglobare usanze, riti e leggende antecedenti il Cristianesimo. Apuleio ne “Le metamorfosi” racconta della festa per la dea Iside che avrebbe molti punti di contatto con la festa catanese. Altrove è possibile leggere di festeggiamenti siciliani durante i quali il simulacro di una vergine veniva portato in processione. Del resto, anche il fatto che alcuni dolci tipici della festa, come per esempio i minnuzzi ri sant’Ajita siano note nel resto dell’isola come minni di vergini, sarebbero la dimostrazione che – almeno la ricetta del dolce – discende da un’antichissima tradizione legata a culti femminili preesistenti. C’è chi accosta la festa di Sant’Agata alle celebrazioni per propiziare il buon raccolto (le candelore sarebbero una chiara allusione alla fertilità) chi la avvicina ad altre festività di origine latina o ellenica… Chi la accosta al carnevale, sottolineando la frequente coincidenza delle due feste e individuando alcuni particolari che quanto meno solleticano la voglia di ricercare altre fonti.
La storia di Agata inizia nel III secolo dopo Cristo, quando la giovane fu vittima dell’amore non corrisposto del governatore romano Quinziano che al suo rifiuto la fece perseguitare perché cristiana. Agata fu imprigionata, torturata e martirizzata, ma non sconfessò mai la sua religione e morì il 5 febbraio del 251. Le origini della venerazione per Sant’Agata si fanno risalire al 252, quando i catanesi insorsero contro il governo di Roma, ma i festeggiamenti in suo onore, pare abbiano avuto inizio proprio l’estate del1126 quando le reliquie della Santa – trafugate quasi 100 anni prima – rientrarono a Catania e i cittadini si riversarono in strada per accogliere Agata. Bisognerà aspettare il 1376, l’anno in cui venne costruita la Vara (il fercolo), sulla quale ancora oggi la Santa è portata in processione (anche se il fercolo fu ricostruito nel 1946, dopo i bombardamenti britannici del ‘43 che lo danneggiarono), perché i festeggiamenti per Sant’Agata escano dalla Cattedrale: i devoti uscirono dalla chiesa e tutta la città poté in questo modo abbracciare la propria Santa. Oggi, come allora, la Vara si muove lentamente grazie alla forza dei devoti che la trainano tirando cordoni lunghi 150 metri. Davanti al fercolo i fedeli portano grandi e pesanti ceri che un tempo servivano a rendere più agevole lo scivolamento dei pattini sui quali si muoveva il fercolo (che oggi invece monta delle ruote). Ma la tradizione della cera resiste fortissima e giorno 3 si svolge proprio l’offerta della cera, nota anticamente come la processione della luminaria che procede dalla chiesa di Sant’Agata alla Fornace fino al Duomo, dove ogni anno si tiene il meraviglioso spettacolo pirotecnico a tempo di musica noto come I fuochi della sera o tri.
Il 4 febbraio, inizia con la Messa dell’Aurora. Questa funzione precede l’uscita della Santa per il Giro esterno che viene aperto dalla candelore. I momenti più appassionati di questa giornata di festeggiamenti sono l’omaggio al Santuario della Madonna del Carmine e l’a cchianata dei Cappuccini fino alla chiesa di San Domenico. Quindi, Agata rientra in Cattedrale spesso all’alba di giorno 5.
Migliaia di devoti, abbigliati con il tradizionale sacco bianco, giorno 5 febbraio attendono l’uscita della Santa dalla Cattedrale per iniziare il Giro interno. Lungo via Etnea, quindi su via Caronda fino a piazza Borgo dove ha luogo un altro suggestivo spettacolo pirotecnico. Quindi il fercolo viene accompagnato lungo via Etnea fino ai quattro canti dove inizia l’a cchianata ì San Giuliano. In cima alla salita, le monache di clausura del convento di San Benedetto di via dei Crociferi attendono Agata con il loro canto che magicamente accoglie i devoti da dietro le cancellate in ferro del Monastero: l’unica occasione in cui le monache possono osservare il mondo esterno. Quindi, Agata rientra in Cattedrale in un vero e proprio bagno di folla.
Ci sarebbe tantissimo ancora da raccontare, ma- per quest’anno – vogliamo raccontarvi in particolare di una tradizione, che trova memoria nel racconto di Giovanni Verga La coda del diavolo, oggi non più celebrata e che già ai tempi di Verga stava cominciando a scemare. Si tratta della tradizione dell ‘ntuppatedde il cui etimo deriverebbe da tuppa, ossia quella membrana che chiude le lumache nel loro guscio durante il periodo del letargo.
«A Catania, la quaresima vien senza carnevale; ma in compenso c’è la festa di Sant’Agata, – gran veglione di cui tutta la città è il teatro – nel quale le signore, ed anche le pedine, hanno il diritto di mascherarsi sotto il pretesto d’intrigare amici e conoscenti». Le donne di tutte le classi sociali, nei pomeriggi del 4 e del 5 febbraio si avventuravano in città da sole e completamente mascherate, accettando dolci e regali da corteggiatori occasionali: sicuramente un’usanza fuori dal comune, che all’epoca una donna sia sposata sia nubile, uscisse di casa senza essere accompagnata. Verga prosegue: «Questo si chiama il diritto di ‘ntuppatedda, diritto il quale, checché ne dicano i cronisti, dovette esserci lasciato dai Saraceni a giudicarne dal gran valore che ha per la donna dell’harem». Dopodiché l’autore si spende in una descrizione dettagliata dell’abbigliamento delle coraggiose ‘ntuppatedde: «Il costume componesi di un vestito elegante e severo, possibilmente nero, chiuso quasi per intero nel manto, il quale poi copre tutta la persona e lascia scoperto soltanto un occhio… La sola civetteria che il costume permette è una punta di guanto […]una punta di sottana […] tanto da lasciare indovinare il rimanente. Dalle quattro alle otto o alle nove di sera la ‘ntuppatedda è padrona di sé (cosa che da noi ha un certo valore), delle strade, dei ritrovi, di voi… di rendervi geloso […] innamorato […] imbecille […] e piantarvi lì sul marciapiede con un punto interrogativo negli occhi […] ma il segreto di una ‘ntuppatedda è sacro. Singolare usanza in un paese che ha la riputazione di possedere i mariti più suscettibili di cristianità».
Qui a Karma, non si smetterà di lavorare durante questa tre giorni. Questo neanche considerato il fatto che le scuole chiudono e il mondo tutto sembra fermarsi per dare tempo e spazio alla Santa. Può darsi, però, che ci possiate incontrare, nel corso della notte, con l’abito delle ‘ntuppatedde. Così, giusto per ravvivare un’antica tradizione 🙂
Le fotografie che illustrano alcuni momenti delle Celebrazioni Agatine sono di Simona Falcone
Carla